A voi che ci state leggendo, grandi e piccini, vogliamo fare un dono: una fiaba. Spesso si fa l’errore di credere che le fiabe per bambini siano solo per loro. Noi crediamo che siano un balsamo per tutti, quindi buona lettura.
Favola del pane di Natale
Alfonso era un contadino di quelli poveri; la terra che lavorava era di proprietà di un signore che viveva in città e che si faceva vedere in campagna quando era tempo di riscuotere la propria parte cioè la metà di tutto ciò che la terra produceva.
Alfonso era contento anche così; la terra dava sempre una certa sicurezza di poter mantenere la sua famiglia che, oltre a lui e a sua moglie Giulia, era composta da otto bambini, cinque maschi e tre femmine, tutti belli svegli e svelti. Il più grande aveva dodici anni e si chiamava Augusto, poi c’erano Luigi, Maria, Giuseppe, Francesco, Gianna, Enrico e Rosa, l’ultima nata che aveva solo un anno.
Alfonso lavorava sodo nel campo dall’alba al tramonto e anche i bambini più grandi lo aiutavano nel pomeriggio dopo la scuola, specialmente nei lavori più semplici come la vendemmia.
Alfonso gioiva nel vedere i bambini giocare insieme, dargli una mano e poi mangiare con appetito il pane fatto in casa.
Sì perché il pane, Alfonso, se lo faceva da sé, una volta alla settimana e quel giorno era una festa per tutti: i bambini si divertivano moltissimo ad impastare, ad accendere il forno e ad osservare come le pagnotte lievitassero, aumentando lentamente di volume e gonfiandosi prima di essere messe a cuocere.
Mamma Giulia, oltre a sorvegliare i bimbi più piccoli, insegnava a dare alla pasta le forme più belle come la rosetta, la treccia o il filone.
Quando il pane appena cotto veniva tolto dal forno, mandava un profumo così buono che babbo e mamma dovevano stare attenti perché i bambini non ne mangiassero troppo facendo indigestione.
Quell’anno, però, il raccolto del grano era stato molto scarso e, consegnata al padrone la sua parte, quello che era rimasto era servito per macinare una quantità di farina che sarebbe bastata a fare pane al massimo per cinque mesi e cioè fino all’inizio di dicembre.
Così avvenne; mancavano quindici giorni a Natale e Alfonso aveva terminato la farina per il pane e non aveva soldi per comprarne altra.
“Che possiamo fare?” chiese mamma Giulia e Alfonso, povero contadino che lavorava tutto il giorno nel campo rispose: “ Non lo so, ma il Signore ci aiuterà”, e diede ai figli le ultime tre pagnotte di pane da mangiare per la cena.
Il giorno dopo Alfonso non aprì le finestre come faceva ogni mattina; le lasciò chiuse perché non entrasse la luce e quando uno dei figli, dopo un po’, cominciò a dire che forse era ora di alzarsi, Alfonso rispose: “Dormi bambino, vedi è buio, è ancora notte!”.
Continuò a dire così per tutto il giorno ai bambini che si svegliavano e volevano alzarsi e mangiare: “Dormi, è ancora notte!” I bambini si fidavano del babbo e tornavano a dormire anche se a loro quella notte sembrava interminabile.
Alfonso pregava Gesù Bambino: “Ti prego, in cielo ci sono tante stelle, fa che qualcuna diventi pane per i miei bambini!”.
Il giorno dopo, verso sera, la situazione non era cambiata e ancora Alfonso con Giulia che non ce la faceva più diceva ai figli: “Dormite, è ancora notte!”.
Si sentì in quel momento il rumore di un carretto sulla strada e subito dopo qualcuno bussò alla porta di casa. Alfonso andò ad aprire e si trovò davanti Romeo, un altro contadino, però anziano, che lavorava il podere accanto al suo. Aveva con sé un carro con otto grossi sacchi.
“Senti Alfonso – disse Romeo- non è che ti possono servire questi otto sacchi di farina? Al mercato li pagano poco, io sono vecchio e per me basta quella che ho tenuto a casa; figli non ne ho e non vorrei che andasse a male. Non ti chiederò molto e se ora non puoi pagare ne parleremo al prossimo raccolto, se sarà buono”.
Alfonso lì per lì non sapeva cosa dire, ma gli occhi brillavano per la gioia. Non sapeva e non seppe mai che Romeo aveva visto le finestre chiuse da due giorni e aveva capito il guaio; era subito corso a caricare il suo carro di grano ed era andato al mulino a macinarlo.
Alfonso accettò la farina e quella sera alzò i bambini.
Andò a prendere una fascina di legna e accese il fuoco nel forno; mamma Giulia iniziò ad impastare una parte di farina con l’acqua e i bambini fecero poi le pagnotte. Fecero una pagnotta rotonda per ciascuno e anche una per il babbo e una per la mamma; con un coltello tracciarono una croce nella parte superiore e portarono i pani al babbo. Dopo aver aspettato che lievitassero bene, Alfonso li mise nel forno caldo e guardò le stelle in cielo che a lui sembravano tante tante.
Tutta la famiglia era in piedi nell’aia davanti alla bocca del forno era già buio e faceva freddo, ma i bambini non lo sentivano; avevano invece tanta fame.
Alfonso aprì lo sportello del forno e con la paletta di legno dal manico lungo iniziò a tirare fuori i pani ormai cotti. Rimase stupefatto: che strano, i pani nel forno erano diventati a forma di stella, eppure avevano ancora tutti il taglio a croce fatto dai bambini i quali, però, non stettero a pensarci molto e cominciarono ad assaggiare il pane.
Anche Alfonso assaggiò quel pane con mamma Giulia e gli sembrò che fosse il pane più buono che avesse mai mangiato: alzò gli occhi al cielo, guardò le stelle e gli sembrarono un po’ meno di prima.
Questa fiaba è stata scritta da Pietro Bandini. Cliccando sulla foto ti raccontiamo anche la storia della sua azienda, Quinzàn.
Parte di questa fiaba racconta fatti realmente accaduti.
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una bella dolcissima storia.. domattina la racconterò ai miei alunni!